Prostatite

Definizione

Per prostatite si fa riferimento a qualsiasi tipo di infiammazione della ghiandola prostatica. Tale condizione riguarda esclusivamente il sesso maschile e si manifesta tipicamente negli uomini di età inferiore ai 50 anni: secondo alcune statistiche interessa fino al 30% della popolazione maschile sessualmente attiva.

Classificazione ed epidemiologia

La classificazione della prostatite rispecchia il quadro clinico mostrato dal paziente. Tradizionalmente, il termine prostatite includeva sia i quadri della prostatite acuta e cronica, di natura batterica, sia quello della sindrome prostatitica nel quale l’origine infettiva non può essere provata. L’Associazione Europea degli Urologi (EAU) raccomanda la classificazione suggerita dal National Institute of Diabetes Digestive and Kidney Disease (NIDDK) del National Institute of Health:
Categoria 1: prostatite batterica acuta – infiammazione acuta della prostata dovuta all’azione di microrganismi patogeni dotati di elevata capacità di colonizzazione della ghiandola;
Categoria 2: prostatite batterica cronica – infiammazione della ghiandola di intensità variabile che però tende ad avere una durata prolungata o andamento intermittente;
Categoria 3: prostatite cronica abatterica anche nota come sindrome dolorosa pelvica cronica (meglio conosciuta con l’acronimo anglosassone CPPS – chronic pelvic pain syndrome) – questa categoria si suddivide in categoria 3a (CPPS infiammatoria – presenza di cellule dell’infiammazione nel secreto prostatico o nello sperma) e categoria 3b (CPPS non infiammatoria – assenza di cellule dell’infiammazione nel secreto prostatico o nello sperma); l’affezione cronicizza, la reale causa rimane spesso non identificata;
Categoria 4: prostatite infiammatoria asintomatica (prostatite istologica) – rimane spesso non diagnosticata in quanto evidenziabile solo con esame istologico della prostata attraverso biopsia, esame non ritenuto routinario per questo tipo di problematica.
Dal punto di vista pratico, l’utilità della suddivisione è oggetto di discussione dal momento che l’approccio terapeutico è sostanzialmente sovrapponibile: secondo alcuni studi, il patogeno responsabile dell’infezione viene determinato con gli esami di routine solo nel 5-10% dei casi mentre i restanti pazienti vengono trattati in maniera empirica.

Cause

  • microrganismi batterici
  • patologie uretrali (stenosi) o del prepuzio (fimosi, balanopostiti)
  • stile di vita: alimentazione, abitudine tabagica, vita sedentaria,
  • disfunzioni intestinali: alvo irregolare, stipsi, emorroidi, ragadi anali
  • disfunzioni eiaculatorie: astinenza eiaculatoria,
  • malattie del sistema immunitario

Sintomatologia

I sintomi predominati sono rappresentati dal dolore (localizzato a livello perineale ma riferito anche allo scroto, al pene o al basso ventre),bruciore alla minzione (stranguria), aumento della frequenza minzionale (pollachiuria) anche durante le ore notturne con urgenza minzionale, emospermia (sangue nello sperma), secrezione uretrale;
Nella Prostatite batterica acuta, l’infiammazione acuta della ghiandola (generalmente causata da microrganismi della flora batterica intestinale o sessualmente trasmessi che giungono per via retrograda dall’uretra) è frequentemente accompagnata da febbre con brivido, malessere generalizzato e dolori muscolari.
La Prostatite batterica cronica non è frequente ed è conseguenza della capacità da parte dei microrganismi di crearsi una “nicchia” di sopravvivenza in alcune zone della ghiandola che risulta poco accessibile alla terapia antibiotica. I sintomi sono più attenuati rispetto alla forma acuta ma tornano a ripresentarsi dopo periodi di relativa risoluzione.
Nella Prostatite cronica abatterica o CPPS tende a prevalere la componente dolorosa spesso descritta come sensazione di spasmo prolungato sia vescicale che anale accompagnato in maniera variabile dai sintomi sopra descritti. Le cause sono differenti, spesso come sequela di una pregressa prostatite oppure scatenata da stress psico-fisico, malattie del tratto anale (emorroidi, ragadi) o cattive abitudini sessuali (eiaculazioni non frequenti, coito interrotto) e caratteristicamente non saranno individuati microrganismi responsabili di tale condizione.
Infine, la prostatite asintomatica decorre silente fino alla diagnosi che avviene tipicamente dopo l’esecuzione di esami di laboratorio o biopsia prostatica dove vengono messi in luce aspetti tipici di un’infiammazione del tessuto ghiandolare.

Diagnosi

La diagnosi della prostatite si basa su quadro clinico, esame obiettivo generale ed esplorazione rettale (permette all’Urologo di valutare le dimensioni della ghiandola, il dolore ala pressione, la consistenza del tessuto), ecografia prostatica trans rettale (utile ai fini di identificare eventuali ascessi intraprostatici, calcificazioni intraparenchimali o dilatazione delle vescicole seminali) ed esami di laboratorio.
L’esame più importante nella diagnosi della forma acuta è rappresentato dall’esame urine; se il paziente presenta segni indicativi di un’infezione estesa al torrente circolatorio è indicata l’emocoltura.
Nelle forma cronica, l’esame di riferimento è il test di Meares-Stamey che consiste nella raccolta di 3 campioni di urine del paziente e del secreto prostatico ottenuto dopo massaggio prostatico, eseguito dall’Urologo tra il secondo e il terzo campione di urina, su cui eseguire analisi microbiologiche e colturali: la positività sul secreto prostatico e/o sul terzo campione di urina, in caso di colture negative degli altri campioni, è indice di possibile infezione a livello prostatico mentre, qualora siano positivi anche il primo e il secondo campione di urine, si può fare diagnosi se la carica batterica del terzo campione è di gran lunga superiore a quella ottenuta sui precedenti.
A completamento diagnostico, l’Urologo può richiedere l’esecuzione dello spermiogramma, per la valutazione delle caratteristiche quantitative e qualitative dello sperma, e la spermiocoltura

Terapia

La terapia antibiotica risulta fondamentale nella prostatite acuta e va sempre somministrata per via endovenosa; particolarmente raccomandati risultano antibiotici della classe dei fluorchinolonici per la loro eccellente penetrazione intraprostatica ma sono consigliati dalle principali linee guida anche penicilline ad ampio spettro, cefalosporine di terza generazione e l’eventuale associazione con aminoglicosidi. Dopo il controllo iniziale dell’infezione, a durata del trattamento dovrebbe proseguire per almeno 2-4 settimane. Incorso di prostatite acute può verificarsi una ritenzione urinaria che rende necessaria una cateterizzazione vescicale intermittente o a permanenza: è stata pertanto proposta anche la terapia alfalitica per favorire lo svuotamento vescicale
Anche nelle prostatiti croniche batteriche, viene raccomandato l’uso dei fluorchinolonici soprattutto per la loro azione a largo spettro nei confronti di microrganismi meno convenzionali; la durata della terapia dovrebbe essere di 4-6 settimane, ad alte dosi e preferibilmente per via orale
Ovviamente, le forme abatteriche non giovano del trattamento antibiotico: ecco perché è di fondamentale importanza riconoscere il quadro di una CPPS nella quale la somministrazione di antibiotici ha un’importanza marginale nella gestione della sintomatologia per la quale, invece, ci si deve avvalere di farmaci antinfiammatori e/o miorilassanti, modificazioni dello stile di vita e dell’alimentazione, ricorso a bagni caldi per alleviare la sintomatologia pelvica, modifiche delle abitudini sessuali (eiaculazioni più frequenti).

FAQ


Eiaculazione Precoce e Prostatite…perché?

Secondo le più definizioni, l’eiaculazione precoce si evidenzia quando l’evento eiaculatorio si verifica entro 1 o 2 minuti dalla penetrazione apportando disagio psicologico al paziente. Posto che stabilire un tempo di eiaculazione “normale” risulti estremamente difficile, risulta molto chiara la stretta correlazione con aspetti psico-sociali quali stress, difficoltà relazionali con gli altri o all’interno della coppia, ansia da prestazione, lunga astinenza da rapporti sessuali. Tuttavia, è bene precisare che alla base di tale disturbo possono sottostare anche altre cause quali neurobiologiche (ridotta concentrazione di serotonina, responsabile di una riduzione del controllo del riflesso eiaculatorio), neurologiche (diabete), locali (patologie infiammatorie genitali e delle basse vie urinarie), farmacologiche (utilizzo di farmaci antiadrenergici).
La prostatite, anche se in maniera non così frequente, può essere responsabile di un quadro di eiaculazione precoce la quale, a sua volte, può far parte di un corteo sintomatologico comprendente la disfunzione erettile e le alterazioni della libido: l’infiammazione cronicizzata causa un’alterata sensibilità del riflesso eiaculatorio e la perdita progressiva della percezione attiva di tale riflesso prima di raggiungere l’orgasmo può essere responsabile di tale situazione.
Molto importante è la raccolta anamnestica del paziente che deve essere volta ad indagare qualsiasi aspetto della sfera sociale, psicologica e sessuale dello stesso: una valutazione a 360°! Imprescindibile anche una valutazione dell’assetto ormonale e fare sempre una valutazione clinico-strumentale della prostata nel paziente con disfunzione eiaculatoria senza o con minima sintomatologia disurica. In genere, soprattutto nei pazienti più giovani, il disturbo è solo transitorio ed è in relazione alla persistenza della sintomatologia riferibile alla prostatite; essendo però quest’ultima una condizione che può recidivare, è importante la prevenzione di nuovi episodi mediante modifiche e accorgimenti sullo stile di vita, alimentazione e abitudini sessuali.

E’ importante l’alimentazione nei pazienti con i sintomi della prostatite?

La prevenzione degli episodi di prostatite passa attraverso un’attenta modificazione del proprio stile di vita e delle proprie abitudini alimentari; inoltre, dal momento che l’infiammazione cronica viene ritenuta come fattore predisponente all’insorgenza di quasi un terzo di tutti i tumori, si è ipotizzato che la prostatite possa determinare lo sviluppo di un cancro prostatico.
A tal proposito va precisato che non esistono prove certe che dimostrino in maniera definitiva il legame tra dieta e prostatite ma un’alimentazione bilanciata, ispirata ai principi della dieta mediterranea, sembra avere un ruolo di supporto nella cura della sintomatologia legata all’infiammazione prostatica. Certamente, è da preferire una dieta ricca di frutta e verdura preferendo proteine di origine vegetale e con un apporto molto controllato di grassi e proteine animali. E’ fondamentale un’adeguata idratazione facendo attenzione a ridurre (per alcuni pazienti anche eliminare del tutto!) l‘apporto di bevande gassate, alcoliche e base di caffeina che hanno un effetto irritante e possono esacerbare i sintomi anche in maniera significativa; inoltre, un apporto giornaliero di acqua adeguato riduce la stipsi e migliora la funzionalità intestinale con riduzione dell’accumulo di feci e della possibilità di passaggio di microrganismi verso la prostata per contiguità o per via linfatica. Meglio evitare i cibi grassi e cibi ricchi di sale: questi ultimi inducono ritenzione idrica e portano alla formazione di urine concentrate.
Un ruolo importante lo rivestono le sostanze antiossidanti in quanto riducono lo stress ossidativo a cui sono sottoposti i tessuti in particolar modo quelli oggetto di infiammazione a carattere cronico: la vitamina E, il beta-carotene e il selenio sembrano avere il ruolo di maggior importanza nella cura e prevenzione delle prostatiti.
Lo zinco è un componente essenziale di molte proteine che riparano il DNA qualora sia alterato: si trova nei semi di zucca e di girasole, nella farina di avena e nella crusca di grano e una sua integrazione nella dieta può essere d’aiuto.
Infine, possono essere di grande aiuto alcuni estratti naturali: uno su tutti, la serenoa repens, ottenuta dalla palma nana americana e componente principale di numerosi integratori largamente utilizzati nella terapia di supporto della prostatite e dell’ipertrofia prostatica benigna.

La difficoltà all’erezione possono essere legate all’infiammazione della ghiandola prostatica?

L’erezione è un evento che coinvolge sia il sistema nervoso centrale che fattori locali e si verifica quando i corpi cavernosi del pene sono irrorati da un sufficiente quantitativo di sangue proveniente dalle arterie e che poi rimane intrappolato al loro interno degli stessi mediante la compressione delle vene conseguenza dell’ingrossamento dei corpi cavernosi.
Molto spesso (soprattutto nel paziente più giovane) prevale la componente psicologica legata a stress o insicurezza dovuta anche all’ansia da prestazione che può subentrare quando la problematica tende a ripresentarsi; tuttavia, le cause possono essere rappresentate da malattie vascolari, disturbi endocrini (diabete) e neurologici, nonché processi infiammatori a carico degli organi pelvici con ripercussioni sui fenomeni vascolari locali e permanenza di uno stato di congestione venoso-linfatica.
Il paziente affetto da prostatite, nelle sue varie manifestazioni, può andare incontro a disfunzioni della sfera sessuale principalmente rappresentate da disfunzione erettile, disordini eiaculatori e alterazioni della libido. E’ stato osservato che le tali alterazioni rappresentino non soltanto una conseguenza della prostatite ma contribuirebbero a loro volta a peggiorare la stessa sintomatologia clinica dei pazienti e che non siano soltanto correlate con l’età del paziente ma anche con la durata della sintomatologia.
I reali motivi sono in corso di definizione. Gli uomini con la prostatite (soprattutto nella forma cronica abatterica) sembrano maggiormente predisposti ad alterazioni microvascolari responsabili di una ridotta irrorazione arteriosa e alcuni studi hanno dimostrato come gli spasmi della muscolatura del pavimento pelvico, indotti dal persistente stato infiammatorio, siano correlati ad un ridotto apporto di sangue arterioso; inoltre, altre evidenze hanno messo in luce come in questi pazienti sia più facile riscontrare una storia di alterazioni di tipo neurologiche responsabili di dolore neuropatico che si ripercuote negativamente sulla qualità e sul numero dei rapporti sessuali. A tutto ciò, va aggiunto il forte carico psicologico che tale situazione può determinare sul paziente.
Nel paziente con disturbi riferibili a prostatite e concomitante disfunzione erettile è molto importante la raccolta dell’anamnesi per valutare l’eventuale presenza di altre possibili cause o condizioni predisponenti così come nel paziente che lamenta calo dell’erezione vanno sempre indagati possibili sintomi prostatici.
In genere, la difficoltà nel raggiungimento o mantenimento dell’erezione rappresenta un fenomeno transitorio e pertanto risulta di fondamentale importanza l’impostazione di un’adeguata terapia volta al controllo della sintomatologia e mirata anche alla prevenzione delle possibili recidive non esclusivamente di tipo farmacologico ma anche attraverso la modificazione del proprio stile di vita, del regime alimentare e delle abitudini sessuali.

Ho una storia di prostatite. Sono a rischio per il tumore della prostata?

I risultati di numerosi studi hanno messo in luce lo stretto rapporto tra infiammazione cronica e insorgenza di una neoplasia in diversi organi tra cui stomaco, esofago, fegato e vescica. Non esiste un chiaro rapporto diretto tra prostatite e tumore della prostata; tuttavia, numerosi studi hanno cercato di individuare il possibile rapporto esistente tra le due condizioni attraverso l’analisi di alcuni processi infiammatori che potrebbero essere promotori di carcinogenesi prostatica.
Su tutti le infezioni e in particolar modo quelle sostenute da microrganismi tipici delle infezioni sessualmente trasmesse responsabili, a volte, di quadri infiammatori cronici a livello prostatico. E’ stato anche studiato il possibile ruolo di alcune sostanze alimentari tra cui l’elevato consumo di grassi e di carni cotte a elevata temperatura determinante la liberazione di agenti in grado di provocare alterazioni del DNA cellulare e modificazioni in senso neoplastico. Una recente revisione della letteratura scientifica sull’argomento sembrerebbe dimostrare una certa significatività nel rapporto tra prostatite e tumore della prostata sebbene, analizzata in maniera più attenta, mostra anche sostanziali differenze se consideriamo le diverse aree geografiche di appartenenza; inoltre, viene a mancare un campione adeguato di pazienti da poter suddividere in modo omogeneo per età e razza e la modalità di raccolta dei dati è suscettibile di critiche in merito alla possibilità di rendere oggettiva una condizione come la prostatite che può presentare quadri clinici variabili.
Pertanto, il tumore della prostata non è ascrivibile esclusivamente a una storia di disturbi riconducibili alla prostatite nelle sue diverse forme: ha una genesi multifattoriale che dipende dalla genetica (basti pensare alla familiarità), dallo stato ormonale del paziente e dalla complessa interazione con fattori ambientali e dietetici.

Calcificazioni prostatiche all’ecografia… devo preoccuparmi?

La rilevazione di calcificazioni prostatiche è un riscontro molto frequente in corso di ecografia prostatica per via transrettale. Possono localizzarsi in sede periuretrale (in stretta vicinanza del canale uretrale che attraversa l’uretra in tutta la sua lunghezza) oppure all’interno dell’adenoma (la parte centrale della ghiandola prostatica che circonda l’uretra stessa) e sono il risultato di processi infiammatori non necessariamente divenuti evidenti con disturbi della minzione, dell’eiaculazione o disfunzione erettile.
Le calcificazioni sono ritenute essere il risultato del reflusso di urine all’interno dei dotti eiaculatori e/o del ristagno di liquido prodotto dalle strutture ghiandolari che costituiscono la prostata: a questi va aggiunta la deposizione di sali di calcio, evento comune nelle sedi di infiammazione attraverso l’attivazione di fisiologici meccanismi biochimici; all’ecografia, pertanto, risulteranno di svariate dimensioni e di colore bianco (“iperecogeno”).
Le calcificazioni non hanno significato clinico e non danno segno della loro presenza in alcuna maniera. Non scompaiono e non devono rappresentare un “problema da risolvere” per il paziente; comunque, è bene precisare che a volte possono rappresentare delle sedi di sovrainfezione da parte di microrganismi che possono contribuire a esacerbare il quadro clinico della prostatite.
Non esiste una terapia specifica per eliminare o tenere sotto controllo le calcificazioni e l’asportazione chirurgica non è indicata; è ovvio che possono essere asportate insieme al tessuto adenomatoso in caso di intervento disostruttivo (endoscopico o chirurgico) per ipertrofia prostatica non responsiva alla terapia farmacologica.