LA RECIDIVA BIOCHIMICA nel TUMORE DI PROSTATA

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Spesso si sente parlare, in ambito di oncologia prostatica, di recidiva biochimica. Ma cosa significa esattamente? Partiamo dal presupposto che il PSA è un marcatore del sangue definito organo specifico, ovvero che viene prodotto nella sua quasi totalità dalla prostata. Viene diagnosticato a un paziente un tumore alla prostata, per cui deve essere trattato, o tramite chirurgia (prostatectomia radicale) o tramite radioterapia. Dopo il trattamento, la prostata o non è più presente nell’organismo (chirurgia) o rimane dentro l’organismo ma ha smesso completamente di funzionare a causa dei raggi che ha ricevuto (radioterapia).

Pertanto dopo intervento curativo sul tumore di prostata, non ci sono più cellule prostatiche attive e quindi non c’è più produzione di PSA.

Durante i follow-up dei pazienti trattati per patologia oncologica prostatica, il PSA risulta quindi essere un forte e valido strumento per capire se c’è ancora attività tumorale in circolazione.

È stato stabilito che si parla di “attività tumorale” o “recidiva biochimica” se i valori di PSA superano 0,2ng/ml per i pazienti sottoposti a chirurgia e superiori a 2ng/ml per i pazienti sottoposti a radioterapia

 

 

•Il PSA deve essere sempre CONFERMATO da un secondo (eventualmente terzo) prelievo

•Il prelievo del PSA DEVE ESSERE ESEGUITO sempre dallo stesso centro di analisi

 

 

Una volta stabilita la recidiva biochimica l’urologo ha a disposizione diverse opzioni, che vengono appositamente scelte in base alle caratteristiche del paziente con l’unico obiettivo di posticipare il più possibile l’insorgenza di metastasi o l’insorgenza di cellule tumorali non più responsivo alle terapie ormonali

 

DIAGNOSTICA PER IMMAGINI

L’obiettivo è quello di fare una “fotografia”, una stadiazione per capire se ci sono cellule tumorali che sono andate oltre alla prostata. Non tutti gli esami, purtroppo, hanno la stessa capacità diagnostica, e spesso sono correlate al valore di PSA con cui vengono eseguite. Rimane pertanto una scelta dell’Urologo, in base alla sua esperienza e alle tecnologie radiologiche che ha a disposizione, scegliere l’indagine diagnostica più adeguata

  • Scintigrafia ossea: è un esame che fotografa lo stato osseo per vedere se c’è attività tumorale nello scheletro, che rappresenta più comunemente il primo bersaglio di localizzazione a distanza di cellule tumorali. È un esame poco costoso, facilmente eseguibile in molti Ospedali ma spesso sottostima la reale situazione
  • Tomografia Computerizzata (TC): è un esame anch’esso abbastanza diffuso e di facile esecuzione, prevede l’uso di mezzo di contrasto (a cui si può essere allergici) e una buona funzionalità renale. Da un’idea sullo stato morfologico-anatomico ma difficilmente è in grado di stabilire se c’è attività tumorale
  • Risonanza magnetica (RM): specialmente quella che viene definita WB-MRI (whole-body MRI) ha una buona sensibilità e specificità per diagnosticare se ci sono localizzazioni ossee, dando nello stesso tempo un’idea morfologia degli altri organi
  • Tomografia a emissioni di positroni: grazie all’aiuto di un “tracciante” che si lega alle cellule tumorali in maniera più o meno specifica è in grado di stabilire se ci sono localizzazioni di malattia oncologica a distanza. Tra i traccianti più utilizzati al momento troviamo
    1. 11C-Colina: metodica entrata in uso da pochi anni che ha permesso di poter identificare siti metastatici a valori di PSA molto bassi, permettendo di anticipare i tempi di diagnosi. Linee guide raccomandano di eseguire questo esame a valori di PSA > 1 ng/ml

68Ga-labelled prostate specific membrane antigen (PSMA): è al momento l’ultimo tracciante uscito. Ha la caratteristica peculiare di legarsi specificatamente alle cellule tumorali di origine prostatica, permettendo di essere diagnostico anche a valori più bassi di PSA. Al momento non esistono valori di riferimento ideali, ma sembra avere efficacia già a valori > 0,4-0,5 ng/ml. Ha il vantaggio di costare meno rispetto alla Colina ma al momento è presente solo in alcuni centri ospedalieri. Lo svantaggio maggiore che rappresenta è che circa il 20% delle cellule tumorali metastatiche di origine prostatica non esprimono i recettori sensibili al PSMA per cui non vengono identificate.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha da poco lanciato un ALERT nel ridurre l’esecuzione di indagini diagnostiche radiologiche per i pazienti che vengono seguiti per patologie oncologiche. Gli esami radiologici non sono privi di effetti indesiderati e collaterali. Prima tra tutte l’esposizione massiva e concentrata di raggi, a seguire reazioni avverse, spesso pericolose al mezzo di contrasto o ai traccianti usati per la PET/TC. Pertanto il paziente non deve avere “ansia” nel voler eseguire tutti gli esami diagnostici disponibili.

Bisogna fidarsi del proprio Urologo, della sua esperienze e delle sue indicazioni!

 

 

ORMONO TERAPIA

Grazie alla scoperta di Charles Huggins e Clarence V Hodge, vincitori del premio Nobel per la Fisiologia e Medicina nel 1966, sappiamo oggi che le cellule tumorali non sono autonome o auto-alimentate ma che la loro crescita e moltiplicazione dipende da segnali chimici come gli ormoni. I vincitori del Nobel osservarono su cani con cancro di prostata avanzato che la castrazione (= rimozione dei testicoli) provocava la regressione del tumore. Pertanto, togliendo la fonte di produzione di testosterone, le cellule tumorali non ricevevano più nutrimento, e pertanto morivano, portando alla regressione del tumore. Su questo principio si basa l’ormonoterapia utilizzata oggi per i tumori di prostata; sopprimere a diversi livelli la fonte di “nutrimento” e di “energia”, ovvero il testosterone, portando così la cellula tumorale a morire.

L’ormonoterapia viene prescritta dall’Urologo qualora si osserva, durante il follow-up di un paziente che ha ricevuto un trattamento curativo (chirurgia o radioterapia) per tumore di prostata, un innalzamento dei valori di PSA; la così detta “recidiva biochimica”. Esistono diversi approcci terapeutici alla soppressione dei livelli circolanti di testosterone

  • CASTRAZIONE CHIRURGICA

Attualmente è considerato il Gold Standard per le recidive biochimiche, ma sempre meno diffuso in quanto consiste nel togliere chirurgicamente entrambi i testicoli, fonte di produzione di testosterone. Eliminando così la principale fabbrica di testosterone, le cellule tumorali residue non ricevono più il segnale chimico del testosterone e muoiono. È un approccio che impatta molto sulla qualità di vita del paziente, pertanto viene al giorno d’oggi consigliato solo in particolari situazioni

  • CASTRAZIONE CHIMICA

Ha lo scopo di abbassare i livelli di testosterone circolanti a un livello definito di castrazione, ovvero <20ng/dl (1nmol/l), sebbene alcuni studi e medici considerano ancora livelli di castrazione <50ng/dl (1,7nmol/l). La castrazione può avvenire sia a livello centrale che periferico. La castrazione a livello centrale agisce regolando la produzione di due ormoni prodotti nel cervello, LH (luteinising hormone) e FSH (follicle-stimulating hormone), a loro volta responsabili a livello testicolare della produzione di testosterone. La castrazione periferica invece avviene a livello delle cellule che esprimono i recettori per il testosterone, bloccando l’azione del testosterone circolante sulla cellula bersaglio

  1. ANTI-ANDROGENI

Agiscono a livello periferico, bloccando competitivamente i recettori androgenici e pertanto inibendo l’effetto del testosterone circolante. Si dividono in base alla loro struttura chimica di sintesi in steroidei e non-steroidei. I più comuni usati in ambito uro-oncologico sono quelli non-steroidei. Alcune tra le molecole più usate sono Flutamide e Bicalutamide. In particolare quest’ultima è sicuramente la più usata. Esiste in due formulazioni, 150mg/die in monoterapia, o 50mg/die se assocciata a terapia con un LHRH analogo per un mese per evitare il fenomeno del flare-up (vedi in seguito).

 

  1. LHRH agonisti

Dopo l’isolamento dell’LHRH ipotalamico grazie agli studi di Schally et al., migliaia di analoghi dell’LHRH sono stati sintetizzati negli anni, ma solo alcuni sono di stretta importante in campo urologico. Tra i più importanti troviamo la Triptorelina, Leuprolina, Buserelina e Goserelina. I livelli di “castrazione” si raggiungono dopo circa 3-4 settimane.

FLARE-UP: un incremento transitorio degli ormoni circolanti capita nei primi giorni dopo la prima somministrazione e porta ad un aumento transitorio della produzione e circolazione di testosterone. Questo fenomeno può portare a un aumento del dolore nei pazienti che hanno metastasi ossee, fino ad arrivare ad avere ritenzione urinaria e compressione della spina dorsale con sintomi quali la paresi. Per evitare questo transitorio fenomeno, è opportuno associare un anti-androgeno. Le linee guida raccomandano di iniziare l’anti-androgeno insieme alla prima iniezione di LHRH o una settimana prima della prima somministrazione di LHRH. Questa terapia di associazione deve essere fatta SOLO alla prima somministrazione di LHRH, e non alle successive somministrazioni.

  1. LHRH antagonisti

Dal 2004 esistono due nuove molecole, Abarelix e Degarelix che bloccano l’azione degli LHRH. Bloccando i recettori per LHRH, sono in grado di causare un’immediata e significativa diminuzione della concentrazione di LHRH e FSH. Pertanto NON vi è la necessità di associare alla prima somministrazione nessun anti-androgeno. Il più usato è il Degarelix, è somministrato alla dose di 240 mg per il primo mese, seguendo 80 mg nei mesi successivi.

STRATEGIE TERAPEUTICHE

Dopo che si ha la recidiva biochimica, l’ormonoterapia può essere iniziata subito o ritardata. La scelta sta prevalentemente all’Urologo Curante, ma in linea di massima si raccomanda di offrire immediata castrazione in tutti i pazienti che hanno metastasi sintomatiche, ovvero fratture ossee patologiche, ostruzioni ureterali, metastasi al di fuori dell’osso, compressione della spina dorsale o ai quei pazienti asintomatici ma che presentano tutti i fattori di rischio per diventare presto sintomatici.

EFFETTI COLLATERALI

Tutti gli approcci ormonali hanno in comune il problema che possono causare atrofia muscolare e osteoporosi. Pertanto l’assunzione supplementare di vitamina D e calcio e l’attività fisica sono fortemente raccomandati. Tra le più comuni reazioni avverse all’uso di LHRH agonisti troviamo  l’ipercoagulabilità, vampate di calore, perdita nell’interesse sessuale e deficit erettile.

NUOVI FARMACI

È in fase di studio un nuovo farmaco, della classe degli LHRH antagonisti (Relugolix). Rispetto al degarelix ha il vantaggio di essere somministrato per via orale.

Esistono in commercio una nuova classe di farmaci che agiscono bloccando la produzione di testosterone non solo a livello del testicolo, ma anche in altri organi dove viene sintetizzato come le ghiandole surrenali e la prostata. Si tratta di una nuova molecola che prende il nome di ABIRATERONE. Spesso viene associata al Prednisone per aumentare la sua superiorità in termini di riduzione del dolore, PSA e declino. È un farmaco che può portare a seri effetti collaterali associati ai mineralcorticoidi come ipertensione o alterati livelli di potassio circolante, insieme a insufficienza epatica di diverso grado di severità. Altro farmaco simile come target d’azione è l’ENZALUTAMIDE, che a differenza dell’Abiraterone che deve essere somministrato 4 volte al giorno, viene somministrato una sola volta al giorno. Anch’esso ha mostrato in termini di sopravvivenza notevoli risultati. Tra i più comuni effetti collaterali dell’Enzalutamide troviamo asthenia/fatica, dolore, vampate di calore, infezioni delle vie urinary, ematuria e ipertensione.

 

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